“Quando io nacqui, trascorso che fu appena un mese, mio padre mi condusse a Monterosso Almo dove egli era stato destinato come insegnante elementare. Monterosso Almo è un vecchio paese su una montagna del ragusano, con gli antichi palazzi e le chiese sulla cima più alta e le strade che da una curva all'altra affondano nella valle. In quel paese io vissi i primi cinque anni della mia vita e ricordo mio padre, con i capelli alla Mascagni, che mi accompagnava per mano fino alla terrazza del circolo dei civili, e lì mi teneva sulle ginocchia a guardare il passeggio, e accanto a noi i vecchi baroni e cavalieri stavano seduti in fila, tutti con i capelli bianchi, il vestito nero, la pelle rosea, le ghette, i bastoni e le catene d'oro. Ogni tanto dicevano una parola distaccata e approvavano lentamente con la testa.
Trascorsi quei primi cinque anni della mia vita io non tornai più a Monterosso Almo e gli anni continuarono velocemente a passare; ora che ci penso, molti anni passarono davvero come un lampo, restavano solo ricordi confusi di loro, il sapore delle prime sigarette, le ragazze del liceo col grembiule nero e le scarpe bianche da ginnastica, i soldati che partivano per l'Abissinia, guerre che rotolavano come macigni. Invece quei primi cinque anni della mia vita io non li dimenticavo mai, e tutte le cose, le immagini, i volti, i suoni, persino gli odori che componevano Monterosso Almo erano sempre precisi e nitidi nella mia mente. Spesso sognavo Monterosso Almo, ogni quattro o cinque mesi. Anche nel sogno il paese era perfetto come nesun'altra cosa ch'io abbia mai visto nel sogno. Un paese fantastico; alcuni grandi palazzi rosa e gialli attorno a una strana piazza lunga e in declivio, una chiesa gigantesca, bianchissima, piena di scalinate, di campanili, di statue sui cornicioni; il monumento ai Caduti con la colonna di marmo bianco e l'aquila di bronzo in cima; le strade che terminavano improvvisamente in un balcone e sotto c'era una vallata verde e azzurra.
Sognavo soprattutto quella piazza piena di vento ...”
Giuseppe Fava
“Pianoforte - diario marzo”, in Pagine (ITES, Catania, 1969, p. 64; Mesogea, Messina, 2011, p. 71)
[una versione estesa di questo racconto autobiografico, intitolata “La ballata, il silenzio, il sogno”,apparve successivamente su I Siciliani, Anno II, n. 15, Aprile 1984, p. 78 (download PDF)]